web analytics

Il Sig. Albrici

Racconto breve di Umberto Dattola

La debolezza più grande del Sig. Albrici era che non aveva prontezza di spirito.

Sapete, ci sono quelle persone che hanno sempre la battuta pronta: in una discussione hanno l’ultima parola oppure in una disputa verbale riescono a dare immancabilmente il ben servito al proprio contendente, oppure ancora riescono in ogni situazione a produrre una battuta brillante, appropriata, ad effetto. Ecco questa è la prontezza di spirito di cui mancava il Sig. Albrici.

Considerando l’essere umano, esisterà pure una scala di abilità o possibilità riguardante la prontezza di spirito. Dal più pronto al meno pronto. Esisteranno persone che posseggono il valore massimo di abilità, come si vedono nei film americani, gli Eddie Murphy di turno, hanno sempre una battuta a disposizione nella loro cartucciera; o come i James Bond che tra le tante risorse possiedono anche quella di saper essere sempre brillanti. Certo forse un film è sempre un po’ inverosimile, perché le persone dicono sempre la cosa giusta, al momento giusto, come la pensano, come va detta.

La vita non è così, soprattutto quella dei comuni mortali. Quante stupidaggini si dicono a sproposito, quante parole insensate per coprire silenzi pieni d’imbarazzo e di tensioni, quante volte non si riesce a tradurre in parole quello che realmente si pensa. Spesso poi non si sa nemmeno cosa si pensa realmente.

Tornando alla scala di valore, dalla parte opposta delle abilità umane relative alla prontezza verbale, c’era il sig. Albrici. E lui ne era perfettamente consapevole. Le battute improvvise delle persone lo lasciavano spesso interdetto, una proposta maliziosa o un avvicinamento troppo repentino lo ponevano in uno stato confusionale, costringendolo o ad imbarazzanti farfugliamenti o ad infilare una castroneria della quale si sarebbe pentito per giorni.

Figlia della stessa deficienza era che spesso, quando di colpo doveva ricordarsi di un film, un nome, una canzone, l’autore di un libro, calava il buio. Uno stato mentale di agitazione, aggravato dalla consapevolezza di saperla quella cosa, di averla sulla punta della lingua, di averci passato ore su quel libro, di averla ascoltata centinaia di volte quella canzone, di essere un grande ammiratore di …..ma niente! e come uno scherzo, una presa in giro ad aggravare lo stato psicologico del sofferente, si ricordava di quella cosa più tardi, quando era solo, tranquillo, quando ormai era inutile, lasciandogli la sensazione ancora una volta di opportunità mancata, di spreco delle occasioni, di incapacità di espressione di sé stesso nella propria autenticità.

Ed in più un sentimento di impossibilità di riparare a tutto ciò che instillava in lui la necessità di trovare rimedio a questa frustrazione in qualche modo, almeno con effetto placebo, almeno un qualcosa che per lui costituisse una particella di riscatto. Quante volte in una conversazione avrebbe voluto dire la sua riguardo un autore, fare un paragone con un libro, citare una frase, ma niente un muro bianco in testa contro cui scontrarsi.

Un effetto collaterale poi che colpisce le persone che fanno fatica nell’immediato a rispondere coerentemente col proprio modo di sentire alle sollecitazioni esterne, è che spesso, e soprattutto il Sig. Albrici, si assumono, per imbarazzo o confusione, i modi di dire, di esprimersi, di pensare delle persone con le quali si interloquisce e che hanno un certo ascendente. A volte addirittura si agisce rispondendo e riflettendo la mentalità di queste persone, la loro cultura anche se differente dalla nostra.

Quante bestialità si era lasciato sfuggire il Sig. Albrici, quasi inconsapevolmente, anche solo per il senso di insicurezza ed inferiorità provata di fronte a quelle persone che la sanno fare la battuta giusta, che sono capaci di rispondere a tono. Come era spesso succube e soccombente rispetto alla superficialità, alla stupidità, alla povertà culturale e qualche volta umana. E quanta umiliazione ne derivava di fronte a sé stesso nel cedere a tutto ciò; per pura mancanza di abilità nel ribattere, per la debolezza derivante dalla consapevolezza delle sue mancanze, dalla impossibilità di esporre efficacemente e succintamente il proprio modo di pensare ed in definitiva di essere.

Come rimediare a questo sconforto derivato? Come per poco e flebilmente potersi prendere una piccola rivincita soprattutto sulle questioni aperte, su quelle rimaste lì sulla punta della lingua o ancora su quelle che per giorni martellavano il cervello tornando e ritornando nei pensieri?

Il Sig. Albrici cominciò a scrivere a posteriori le risposte alle situazioni con cui era stato incapace di confrontarsi. Iniziò anche a scrivere quelle cose che erano rimaste lì come un post-it appese a quel muro bianco che sulla punta della lingua si erano incollate senza riuscire ad uscire.

Ne scrisse tantissimi di bigliettini il Sig. Albrici, ed ogni volta li infilava in un cassetto di questa ribaltina, la quale oramai da vera confidente accoglieva gli sfoghi, i ripensamenti, le sensazioni di occasione persa del suo ospite.

“No! Non ci credo, ho detto anche io NOIALTRI!”

“Ottimi questi biscotti, per un cane con denti sani sarebbero ottimi”

“Fare i pazzi in un venerdì sera a Milano”

“Sono sorpreso dalla sua passione e competenza, ma non mi interessa grazie”

“Cuccureddu”

“Mi sono accorto che facevi finta di dormire quando sono venuto a chiamarti per quella telefonata, eri bellissima così, distesa, ed avrei dovuto approfittarne della tua cortesia”

“ma come cazzo si fa a sputare sentenze in questo modo per partito preso, senza dati oggettivi, non mi piego a questa logica pigra e superficiale”.

“grazie dio per avermi fatto minimamente intelligente”

“non dubito delle sue capacità, ma questo lavoro non va bene”

“non venga a piagnucolare dei soldi proprio lei, possidente di decine di appartamenti, con me che sono un suo affittuatario. Ci sarà un limite all’indecenza ed alla farsa”

“No, mi spiace ho gusti differenti, forse anche un po’ sofisticati”

“Bere un buon vino in un bicchiere di plastica è come far l’amore con una bella donna coprendola con un lenzuolo”

“Ma dai non mi rompere i coglioni, proprio tu che non hai mai fatto un cazzo!”

“Ma non sono le tue parole che non mi convincono è il tuo stato che parla da solo!”

“La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo”

“Tieni a distanza di sicurezza quelle tette, please”

“ah sono io lo spilorcio che ti ricordo i soldi che mi devi, non tu che mi costringi a sentirmi in difetto chiedendoteli”.

“dire che avevi bevuto non giustifica niente, l’alcool non inventa alcunchè che non sia già presente nelle nostre teste”

“E’ più che un piacere rivederti, sono emozionato”

“lo sai, il dover prendere la vita momento per momento, mi rende consapevole della magica intensità dei nostri attimi”

“Senti! si sono cambiato, ma ne sono contento, se fossi rimasto come vent’anni fa mi sarei già sparato e spero tra vent’anni di essere diverso da adesso”

“L’imbalsamatore di Matteo Garrone cazzo, L’imbalsamatore”

“Scusa non volevo offenderti, in realtà sono un po’ invidioso e mi innervosiscono certe cose”

“sinceramente non me ne frega un cazzo della cena dei vecchi compagni, ho avuto una vita e guardo al futuro, mi intristisce guardare al passato, magari fingendo nostalgia, mi intristice assistere ai rimpianti degli altri e vedere che nella vita non hanno avuto niente altro che una infanzia spensierata”

“la festina di fine anno delle scuole elementari era un puttanata senza confronti”

“Grossglockner  Grossglockner  Grossglockner”

Era solenne il Sig. Albrici nel consegnare quanto scritto al mobile. Sembrava quasi un ambasciatore che consegna una dichiarazione al paese straniero, inorgoglito dal compito affidatogli, consapevole dell’ineluttabilità degli eventi, confidante nel buon esito della missione.

Apriva la ribaltina, scriveva con piglio sicuro ciò che aveva rimuginato a lungo nei suoi pensieri e con fare diretto vergava le parole scelte. Apriva il cassetto con lentezza suggestiva e rileggeva un’ultima volta quanto scritto; quasi impettito lo deponeva, richiudendo sia il cassetto che la questione.

E poi si tranquillizzava. Quel gesto riparatore levava un po’ l’amarezza e l’insoddisfazione, forse di poco, ma qualcosa levava.

Era la sua terapia, il suo effetto placebo. Un tentativo di rivalsa rispetto a quello che sentiva come un handicap e che destava in lui passioni fortissime e contagiose.

Il Sig. Albrici e la sua ribaltina furono soggetti EVNI proprio nel momento di deporre quello che sarebbe stato il suo ultimo biglietto: “eppur ne è valsa la pena”.