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La poltrona della Iole

  Scultura arte contemporanea

“La Iole”, cosi’ la chiamavano nella casa dell’avvocato Masini.

La Iole era la domestica di casa, quella che era arrivata quasi bambina, timida e riservata e che, nel corso del tempo, divenne il cardine della famiglia.

La Iole sapeva dove erano riposti i tovaglioli ricamati per gli ospiti, il cacciavite adatto a riparare quella tapparella, le pile del telecomando, i documenti di affitto del terreno di famiglia. E non solo, perché la Iole sapeva anche come stirare le camicie del dottore, quale fosse la fragranza di ammorbidente adatta alle lenzuola e l’ingrediente segreto del pescespada alla trapanese.

Conosceva i gusti dei componenti della famiglia, le loro preferenze, le cose che facevano irritare e quelle che rasserenavano. I piccoli segreti di ognuno e le cose assolutamente da non tacere. La iole aveva passato più tempo con i bambini di qualsiasi altra persona, a loro donava e riceveva affetto, pur sapendo in anticipo come loro la avrebbero dimenticata nel momento in cui l’adolescenza li avrebbe distratti.

Lei era la domestica e serviva in silenzio, sopportando a volte piccole e grandi crudeltà e non compiacendosi mai troppo dei riconoscimenti o dei complimenti. Il suo destino, ne era consapevole, era del resto vivere nell’ombra, poco visibile, con gusti di altri, con idee altre e con modi di condurre le relazioni improntati su altri valori.

La domestica, si sa, per definizione, non ha orari di lavoro. La domestica, finché vive con la famiglia che l’assume, è sempre domestica, anche nel sonno, anche quando qualcuno sta male, sporca il letto, torna ubriaco, litiga sbattendo le cose.

Non bisogna credere però che la domestica non avesse potere. Ne aveva forse più di ogni altro componente della famiglia: essere l’unica a sapere come si fanno le cose portava infatti coloro che avevano bisogno di quelle cose in una condizione di totale dipendenza. Inoltre, essere l’unica a conoscere i segreti più intimi della moglie del dottore le conferiva un ruolo di complicità forzata che le permetteva altre intoccabilità; essere l’unica infine a capire i bisogni e le debolezze dei figli la dotava di una autorità che andava al di là delle appartenenze di ceto.

Ma questo potere era pur sempre relegato all’invisibilità, privato della libertà di manifestarsi, vissuto come una distorsione della normalità, avvilito dalla retribuzione e dalla prepotenza della differenza sociale.

Ma in definitiva il peggio era che la Iole possedeva competenze che non poteva esercitare per se stessa, condivideva segreti che non le appartenevano, esercitava autorità ambigue, provava gusti riflessi, interessi mediati, passioni evaporate.

La Iole conduceva la vita degli altri, con abnegazione, ma spesso e soprattutto in tarda età, con la frustrazione di chi non ha potuto vivere la propria, il proprio ruolo, i propri sbagli.

Essendo parte di una famiglia che non aveva costruito, accudendo figli non suoi, sistemando i calzini di un uomo che non proteggeva e non appagava lei, viveva non vivendo, in modo silenzioso, al servizio di, mai manifestando i propri sentimenti o le proprie preferenze, mai mettendosi in mezzo, sempre di lato, pronta a raccogliere il fazzoletto intriso di lacrime degli altri.

La Iole però rimaneva viva, in qualche modo.

La sera, dopo aver sbrigato le ultime faccende, aver spento la televisione, riposto e ripulito il bicchiere ancora mezzo pieno di whisky scozzese dell’avvocato, fatto il giro delle serrature ed azionato il sistema di antifurto, la Iole si ritirava in camera sua. Al buio si metteva a sedere su una poltroncina bassa, di fronte alla finestra, in direzione del cielo.

Chiudeva allora gli occhi e ricordava; riviveva interamente e intensamente pochi e unici momenti felici della sua vita, pochi istanti in cui aveva provato l’ebbrezza della libertà, il conforto dell’attenzione, la dolcezza dell’amore.
Chiudeva gli occhi e riviveva quella notte di un tiepido aprile, sotto la limpida ed infinita volta stellata dei cieli di Arizona, dove aveva accompagnato Emma, la primogenita, in vacanza studio.

 Ricordava come fosse ieri l’aria profumata e limpida proveniente dal deserto che permetteva alla vista di vagare lontanissima ed esaltava milioni di stelle agitatissime e coloratissime, riunendole in una volta a semicerchio che le sembrava magica.

 Quel cielo lo aveva ammirato insieme a lui, italiano in fuga dal conformismo europeo. Con lui aveva tenuto la testa rivolta al cielo, in contemplazione di quel infinito mistero.

 La voce calda di lui rapiva nel raccontare le antiche leggende indiane di quella terra, la sua mano ferma che raccoglieva quella di lei; mano ardente, con la pelle spessa, coriacea, ma così delicata nel carezzarla… E poi ancora il suo odore di terra e deserto, il profumo di uomo, di uomo attratto da lei. E lei con le parole ondeggianti nel vento, stregata da quella voce, da quel cielo turbata, da quel profumo di uomo estasiata.

Ecco, nella sua stanza, la Iole riviveva ogni sera quella scena, quello che avvenne; la rendeva reale nella sua mente ed in essa, adagiata nella poltrona, si immergeva ad occhi chiusi.
Le stelle erano di nuovo chiarissime e scintillavano in cielo ora, il rumore dei passi le accendeva il corpo, la voce di lui vibrava nella sua immaginazione… Sentiva perfino il vento sulle guance, sulla fronte, nei capelli che la sfiorava come era successo allora, senza permesso, alle spalle, all’improvviso.

 Ogni santa sera, per anni, lei tornava a rivivere quella notte, quei momenti che avevano reso sopportabili tutte le altre notti. Era stata quella la sua porzione di passione, il suo pezzo di paradiso, la sua parte di respiro col cosmo.

 Quando la Iole, ormai troppo anziana, abbandonò la casa dell’avvocato Masini, l’unica cosa che volle portar via fu la poltroncina.

Morì pochi anni dopo, con gli occhi chiusi, adagiata su di essa, i capelli scombinati come da un vento leggero.

 Fu soggetto di EVNI, e fu ritrovata con una faccia per niente sorpresa dall’evento. Come se, in punto di morte, non le sembrò strano che la poltroncina su cui aveva sognato per tante notti, si alzasse e andasse al suo posto, facendo quello che lei non aveva mai avuto il coraggio di fare, camminare verso quelle stelle vibranti come il suo cuore.

La poltroncina dal canto suo, si mosse con determinazione come se avesse sempre aspettato di farlo, di camminare verso quei luoghi che aveva solo visto attraverso i ricordi di lei, attraverso le sue emozioni, i suoi palpiti, i suoi sospiri.