
Questa è la storia di una pigrizia, di una arresa totale e compiaciuta alla pigrizia.
La Sig.ra Pikenz, tutti la chiamavano Piki, non era bella di sicuro, tuttavia dava l’idea che sarebbe bastato poco per renderla almeno piacevole. Capelli castani, lisci e sottili, occhi marrone chiaro, dal taglio tutto sommato banale. Leggermente sovrappeso, ma non abbastanza da poterglielo rinfacciare.
La Sig.ra Pikenz era soprattutto pigra, di una pigrizia devastante che le rendeva ogni attività o movimento faticosissimo. Era capace di passare un’intera giornata stesa sul divano senza far assolutamente niente per ore e senza avvertire alcun rimorso, senza soffrire di alcuna forma depressiva in genere associata a questi atteggiamenti di lassismo assoluto.
Per sopravvivere era impiegata in un ufficio, dove rifugiandosi dietro una ostentata e quasi compiaciuta inettitudine, era riuscita a farsi ridurre al minimo le mansioni affidatele. Che fatica per lei rispondere al telefono, provvedere alle consegne, imbustare lettere. Troppo pieno di complicazioni poi l’uso di un computer, per non dire della scomodità del telefono cellulare: essere sempre e da chiunque reperibile, accenderlo, spegnerlo, ricordarselo, metterlo in carica ed il cavetto e la scelta delle suonerie e il t9 degli sms e magari l’accondiscendenza verso gli emoticons e tanto altro ancora…
Non aveva marito, figli o fidanzati, lei. Per i rapporti personali ci vuole impegno e cura, troppo impegno e troppa cura per i suoi gusti. Viveva sola. A dire il vero, non le dispiacevano gli animali, ma mai avrebbe assunto la responsabilità di tenere un gatto o un cane, figuriamoci… Il pensiero di doverlo nutrire, magari alla stessa ora, magari assecondandone i gusti, magari dovendo pulire la lettiera, i suoi bisogni, ma per carità… Neanche tutto l’amore del mondo l’avrebbe mai costretta ad infilare la mano in un sacchetto di plastica sottilissima, raccogliere con le dita deiezioni ancora calde e trasportarne la consistenza e l’olezzo al più vicino cestino, magari su marciapiedi affollati, sotto sguardi preoccupati di tutelare l’onorabilità di suole di scarpe. Tutto ciò la faceva rabbrividire.
Nella sua casa presa in affitto ammobiliata, tutto era rimasto come il primo giorno in cui ci aveva messo piede, l’originale mano di bianco sui muri oramai era chiazzata di ombre scure ovunque. L’unica eccezione all’immobilità dell’arredo fu questa cassapanca ricevuta in eredità da parenti di origine ladina (lo si deduce dal foglio di giornale rimasto incollato sul piano del coperchio).
Certo l’eredità ad interessarsene sarebbe stata più cospicua, ma per questo la Sig.ra Pikenz si sarebbe dovuta recare su quei monti freddi, ad altitudini fastidiose, in luoghi così sfacciatamente ed ipocritamente belli e naturali. Avrebbe dovuto prendere atto ed esaminare i beni da spartirsi,.. Oddio! Magari litigare, cercare di imporsi, infarcirsi di sospetti e malumori e poi cercare compromessi e punti d’incontro. No, no, meglio non incontrarsi proprio e rinunciare alla propria parte nella maniera meno fastidiosa. Del resto a lei i soldi non interessavano, l’unica cosa alla quale era interessata era poter mantenere la sua pigrizia.
Così ricevette questa cassapanca da un parente che, contento per il facile realizzo dell’eredità, ebbe la premura di portargliela fino a casa, anzi in salotto, di fianco al divano da dove non si mosse più. Fu così che cominciò ad ospitare bicchieri, tazzine, piattini di plastica, resti di cibi precotti, in scatola, surgelati o a domicilio (a proposito, la sig.ra Pikenz considerava autentico benefattore del mondo civile chi aveva inventato il forno a micro-onde, caffè solubile, posate e piatti usa e getta), buste varie, scatoline e scatolette, lettere spiegazzate, tovagliolini, briciole, riviste e volantini pubblicitari ecc.
Quando il venerdì smetteva di lavorare, si rintanava a casa a passare il suo fine settimana sul suo divano chiaro, sformato dal peso della sua sagoma, macchiato da cibi consumati da sdraiata, dimenticato dalle buone intenzioni del decoro. Spesso passava lì anche la notte per la pigrizia di dover andare a letto e ancora più spesso rimaneva come era arrivata dal lavoro, fino al lunedì, giorno in cui con uno sforzo sovraumano si alzava dal divano per andarsi a sedere alla sua scrivania.
Fu proprio durante uno di quegli sforzi per lei immani che iniziò a maturare un’idea che la riempiva di gioia ed orgoglio per sé stessa: lasciarsi morire!
Non mangiare più, smettere di bere pian piano e lasciarsi andare, sul suo divano, in compagnia della cassapanca, di riviste poco impegnative e della sua invincibile pigrizia.
Che bello sarebbe stato non far più niente. Smetterla di doversi alzare controvoglia, di sottoporsi alla sfiancante routine di colazione, spostamento al lavoro, pausa pranzo, convivenza con colleghi che non aveva scelto, scrutandone gli umori per tenersi lontano da fastidiose implicazioni di gestione relazionale, evitando con cura i buoni samaritani che la consideravano un caso clinico, evitare soprattutto gli entusiasti, i ben intenzionati, gli altruisti a tutti i costi, i convinti.
E poi non aver più’ niente a che fare con le bollette, le chiamate delle compagnie telefoniche, liberarsi da assicuratori, promotori, seccatori, complessati, nevrotici, idioti, ritardatari. E ancora evitare gli scioperi, le raccolte fondi, il 730, le multe, le sale d’attesa, i semafori, gli stop, i volantini nella posta, la riesumazione delle salme televisive, le invettive contro i politici…
Tutto questo poteva magicamente e comodamente dissolversi sul suo divano.
La sig.ra Pikenz fu in grado di organizzare la cosa con efficienza tirolese. Diede le dimissioni, l’avrebbero altrimenti cercata dal lavoro, diede la disdetta del telefono, controllò il conto corrente perché venissero pagati gli ultimi RID nel silenzio, mise in giro voci di un suo viaggio, si rifornì di riviste, enigmistica e programmi televisivi.
Quindi si sedette sul divano. Non si sdraiò subito, del resto aveva tutto il tempo che voleva. Era, sulle prime, anche un po’ divertita dal fatto che proprio lei compiva una cosa così originale. Infatti non aveva notizia di nessuno che si era lasciato andare in quel modo, senza nessuna battaglia da combattere, nessuna protesta da diffondere, nessuna rivendicazione. Lei, semplicemente, si lasciava andare così per pigrizia.
La storia della Sig.ra Pikenz la conosciamo fin qui, attraverso brevi note da lei scritte a margine di riviste, attraverso testimonianze di colleghi e vicini, attraverso le note spese, gli scontrini fiscali ritrovati. Non sappiamo però cosa avvenne dopo che si sedette su quel divano, quanto tempo impiegò per spegnersi, cosa realmente fece nel mentre. Tuttavia il fatto che la sua morte sia stata interessata da EVNI la rende dal nostro punto di vista interessante e ci spinge a fare delle supposizioni.
Siamo spinti a credere che probabilmente la Sig.ra Pikenz non si è spenta come avrebbe voluto, nell’assoluta inerzia fisica e mentale. Si suppone infatti che in quello stato di debolezza e di privazione di cibo e acqua, abbia raggiunto uno stato di essenzialità emotiva, quasi di trascendenza. E’ ragionevole ritenere che abbia ricordato esperienze, preferenze, passioni che la nebbia dell’apatia offuscavano a mano a mano che la vita la abbandonava. Le saranno mancati oggetti, abitudini, persone, sensazioni. Magari quelle stesse cose che per pigrizia la facevano penare, in quei momenti finirono per essere considerate delle esperienze più piacevoli.
Avrà infine probabilmente sperimentato una profonda drammaticità di sentimenti e sensazioni, di una intensità tale da costituire fattori scatenanti il fenomeno EVNI.
Quello che io personalmente penso osservando la cassapanca, le sue alte leve, la loro rigidità, eccessiva, che paragonata ad altre esperienze EVNI sicuramente è unica, è che nei momenti che hanno preceduto la sua morte, la Sig.ra Pikenz, abbia avuto modo di guardarsi con onestà e discernimento; avrà realizzato probabilmente alcune verità riguardanti la propria vita e credo che una di queste non sia stata la compiacenza verso la pigrizia, ma il proprio fraintendimento di questa compiacenza.
In realtà quello che io penso è che la Sig.ra Pikenz non era una persona così pigra, ma una persona rigida che aveva interiorizzato un’ idea che non era più stata capace di sostituire, mettere in relazione, verificare.
Mi spiego meglio. La sig.ra Pikenz si era creata, vai a sapere perché, una immagine di sé come persona pigra, l’aveva interiorizzata e da essa non aveva più voluto scostarsi. Questo per rigidità, per durezza, per asprezza di carattere. Probabilmente se si fosse vista come una grande benefattrice avrebbe portato questa considerazione alle estreme conseguenze, sarebbe diventata sicuramente una rivoluzionaria o una santa.
Quelle gambe rigide, parlano di una rigidità più profonda, quasi inconscia che consente di fissarsi su alcune concezioni e non avere più la forza di cambiarle. O meglio avere così tanta forza da non cambiarle mai, nonostante tutto e tutti, nonostante la vita e, come andata poi a finire, nonostante la morte.