
Partiamo col descrivere i luoghi, l’ambiente nel quale accadde un avvenimento che condizionò l’intera esistenza dei due protagonisti di questa storia e del loro amore ostacolato da forze schiaccianti, ma così caparbio, forte e sincero da riuscire nonostante tutto a sopravvivere e a sconfiggere il destino.
Siamo nell’ampia sala di una villetta di una piccola città del nord della Francia. Accontentiamoci di questo riferimento geografico. L’ampia sala termina su tre lati fatti di vetrate molto alte, avvolte in leggere tende chiare, che danno sul retro della villetta, su un parco ed un piccolo boschetto molto frequentato dagli abitanti della zona.
L’arredamento e’ composto da due poltroncine della metà dell’ottocento, in legno di noce, tramandate da alcune generazioni, e nient’altro.
Sedute su queste poltroncine due persone guardano in silenzio fuori; parlano poco, non ne hanno bisogno, sentono che i silenzi attivano più percezioni e restituiscono più sensazioni di tante parole. Sono sicuri del proprio amore tanto da non doverlo ribadire con troppi discorsi.
Sono giovani di bell’aspetto, di ottima formazione ed eccellente cultura. Hanno terminato gli studi da poco e stanno per affacciarsi all’età delle responsabilità e delle scelte. In questa età si pensa al costruire, al fare, alla vita che sembra durerà per sempre. Indossano indumenti chiari leggeri.
Quella e’ la casa della famiglia di lui, ma quell’angolo di sala è oramai appannaggio loro, il loro rifugio. Seduti su quelle poltroncine, con gli arti superiori rilassati sui braccioli, alla cortese distanza che separa le due sedute, ad un’inesistente distanza che separa i loro cuori che sembrano fondersi in quei silenzi, in quel porgersi la mano per guardare ancora più intensamente quel fuori che scompare nei loro respiri.
E’ ora di costruire quindi, di affacciarsi al mondo ben equipaggiati, con legami che costituiranno fondamenta sicure con le quali affrontare il mondo e farsi valere. E’ lui che dopo poche parole e tanti silenzi, in quel tardo pomeriggio di sole, tira fuori un anello da un astuccio grigio chiaro, con raffinate scritte dorate. Lo porge così nell’astuccio aperto sul palmo della mano a lei che, dopo lunghissimi, infiniti secondi raccoglie l’anello e lo chiude nel palmo della mano, lo stringe e… succede ciò che nella vita di queste due persone durerà per sempre.
Vi è mai capitato di rispondere ad una situazione in un modo che non volevate perché qualcosa di più grosso ed indefinibile ha determinato quella reazione? Di comportarvi in un certo modo con una persona più che per vostra volontà per assecondare involontariamente una concatenazione di eventi e situazioni che coinvolgono così tante energie e risvolti che il vostro piccolo essere non può dominare? Oppure vi è mai successo di ferire, danneggiare, mortificare una persona non perché volevate farlo, ma perché avete risposto ad un impulso che vi trasmetteva quella persona, un moto dell’anima che vi obbligava quasi ad agire così, che vi convinceva che quella persona doveva essere ferita, danneggiata, mortificata perché nel cosmo erano successe così tante cose, così tante azioni e contro-azioni che oramai il vostro comportamento era diventato la goccia di un fiume che scorre e tutto travolge, indipendentemente dalla vostra stessa volontà?
Carl Gustav Jung chiamava questo fiume “Inconscio Collettivo”, cioè in parole semplici, egli così definiva la struttura della psiche dell’intera umanità, sviluppatasi nel tempo influenzata dalle radici arcaiche, dai valori socio-culturali in questo attuale momento e dai valori, dalle potenzialità, dalle mete future dell’umanità.
Secondo la filosofia buddista, l’umanità e le singole persone rispondono al Karma, il principio di “causa-effetto”, un principio di concatenazione secondo il quale ogni azione provoca una reazione ed è la causa del destino degli esseri viventi.
Nella nostra cultura, invece, si fa ampio uso del termine destino… Quante volte abbiamo sentito dire: “era destino che…”. Al destino non ci si può opporre: succede e basta.
Ecco l’anello ora è nella mano della giovane, lei ne sente il metallo sul palmo, ha negli occhi il riflesso dell’oro e qualcosa di rosso scintillante incastonato dentro. Lo tiene in mano, lo vuole percepire il più possibile al tatto perché era tutto quello che desiderava ed aveva aspettato, la realizzazione di un sogno.
Quel sogno però d’improvviso le scappa via, e’ come se una forza oscura vi si opponga e si impossessi di lei. Un’idea la domina e da quando si è affacciata alla sua mente non può più contrastarla. È come quando un bambino fa cadere qualcosa che si rompe, è l’idea che si impossessa di lui, non la volontà di rompere, frantumare, di dissolvere.
La dissoluzione avviene in un attimo, la giovane stringe ancora più forte l’anello nella mano e con un gesto rapido e rabbioso lo scaglia a terra con forza. L’anello cadendo sul parquet di rovere emette un rumore metallico sordo, per schizzare istantaneamente contro il muro, prima di fermarsi inerte, privo di quell’energia di cui l’amore ed i progetti lo avevano caricato.
Questa volta si che i nostri protagonisti sono senza parole, e non perché non servono, ma perché nessun suono riesce ad uscire da quelle bocche strozzate ed allibite, ormai prive di forze. Tutti i discorsi rimangono schiacciati in gola insieme all’urlo che si affaccia nella loro disperazione.
Cala un silenzio che questa volta è disperato, lugubre, cupo, un silenzio che diviene presto lacerante, insostenibile, finché d’un tratto la giovane si alza, disperata, se ne va….se ne deve andare.
Non si vedranno più, fino alla più tarda vecchiaia.
Non si vedranno più fino a quando, con una vita alle spalle, lei oramai piegata e piagata dagli anni, tornò a sedersi su quella poltroncina.
Fu ancora un pomeriggio, ancora tanto sole, Marie fu accolta da una parente di lui, di Lucien. Fu accompagnata alla stessa poltroncina, ancora di fronte alla vetrata dove lui oramai passava la maggior parte del tempo. Si guardarono, in un silenzio così carico che la nipote, imbarazzata, sentì di congedarsi. Sul viso di lui il bagliore di sorpresa fu subito spento dalla necessità di guardarla, di riconoscerla dopo tanto tempo. Lei sedette nella poltrona di allora, rimasta ancora nella stessa posizione per volontà tenace di Lucien che sempre lì l’aveva tenuta in tutti quegli anni. Si presero la mano e di nuovo in silenzio tornarono a guardar fuori.
Tutta la vita Lucien l’aveva aspettata, tutta la vita guardandosi in quegli specchi che gli restituivano sempre più capelli bianchi e sempre più grinze sul volto, aveva atteso paziente e fiducioso. Non l’aveva giustificata per la sparizione, ma l’aveva capita e questa comprensione rendeva ancora più sofferente l’attesa che si protrasse, fino alla vecchiaia.
Marie aveva sposato un uomo molto più grande di lei, che rispettava e per il quale era arrivata a provare una qualche forma di affetto. Ebbe due figlie, e cinque nipotini, rimanendo vedova una decina di anni prima di quell’incontro. Anche lei per tutta la vita aveva atteso di rivederlo, di risentire quei silenzi nel suo cuore, di guardare di nuovo oltre le finestre senza vedere.
Fu così che Lucien e Marie, passarono di nuovo il tempo su quelle poltroncine, con poche parole e tanta tranquillità. Erano finalmente di nuovo assieme, sereni, più forti. Marie arrivava quasi sempre alla stessa ora e trovava Lucien lì, ad aspettarla sulla sua poltroncina, di fronte alla vetrata. Lì attendevano l’orario di cena, quando Marie faceva ritorno alla sua vita di “prima”.
Marie arrivò anche il giorno della propria morte a casa di Lucien. Più affaticata del solito, si sedette stringendo forte la mano di Lucien per rassicurarlo. Si spense così in silenzio, guardando fuori, contenta di andarsene con lui accanto. Lucien sentì scivolare la vita di lei dalle mani, lentamente, serenamente. Trattenne la mano ancora per un bel po’, non voleva strapparla subito alla sua posizione preferita.
Quando si decise sollevò il corpo di Marie e lo prese in braccio e così’ lo portò fino a casa di lei, che per tutta la vita non era stata così distante da casa sua. Lo fece lentamente, ignorando gli sguardi allibiti dei passanti, camminando con sguardo fisso ed il passo sicuro fino a destinazione. Appoggiò il corpo di lei sul letto e non riuscì ad evitare di passare lo sguardo intorno, dove Marie aveva passato una vita senza di lui.
Lucien visse ancora due anni oltre Marie e al momento della sua morte, entrambe le poltroncine furono protagoniste di EVNI.